Due notizie di questa estate 2022: così tra loro apparentemente lontane eppure così vicine, riportano l’attenzione sul continuo conflitto tra apparire ed essere. L’unicità, oggi, è l’elemento di distinzione in un mondo sempre più omologato.
Rodrigo Alves è nato nel 1983 a San Paolo, in Brasile, da papà brasiliano e mamma inglese. Si sono occupati di lui testate giornalistiche e trasmissioni televisive per il fatto di essersi sottoposto ad un numero impressionante di operazioni chirurgiche ed interventi estetici (per tale motivo è anche entrato nel Guinness dei Primati) con l’obiettivo finale di assomigliare il più possibile alla bambola Ken, tanto da essere soprannominato il “Ken umano”.
Tra il 2019 ed il 2022 Rodrigo Alves è diventato Jessica Alves, a seguito di ulteriori interventi chirurgici (per un importo di circa 1 milione di sterline), trasformandosi nel corpo e nei tratti somatici da “Ken umano” a “Barbie umana”.
Oggi si dichiara felice al 95 % perchè per raggiungere la felicità completa le mancherebbe ancora un’ennesima operazione chirurgica al naso, ma i medici glielo hanno categoricamente sconsigliato.
Come hanno spiegato alcuni medici specialisti “alcune persone soffrono di un disturbo, la Sindrome di Barbie & Ken, per la quale non riescono ad avere una loro identità ben definita. Cominciano allora a guardarsi intorno per vedere quali sono i personaggi da tutti ammirati e quindi cercano di diventare uno di loro per essere a loro volta ammirati.”
Come loro, anche l’ucraina Valeria Lukyanova si è ostinata per assomigliare a tutti i costi alla famosa bambola della Mattel come pure l’inglese Jack Johnson ha speso 20.000 sterline per assomigliare all’ex calciatore David Beckham.
Anche Valdir Segato, bodybuilder, era brasiliano come Rodrigo Alves: seguito sul Social TikTok da un milione e mezzo di follower, per aumentare a dismisura i propri muscoli aveva cominciato ad assumere una miscela di olio, lidocaina e alcol benzilico contro il parere di qualsiasi medico da lui consultato.
E’ deceduto questa estate il giorno del suo cinquantacinquesimo compleanno.
Affermava: “ho raddoppiato le dimensioni dei miei bicipiti, ma voglio comunque essere più grande”.
Rodrigo Alves voleva a tutti i costi assomigliare prima a Ken e poi a Barbie come pure Valdir, ugualmente a tutti i costi, voleva aumentare a dismisura i propri muscoli anche attraverso l’utilizzo di sostanze tossiche per il suo fisico e la sua salute.
Entrambi focalizzati nell’affannosa rincorsa per raggiungere un ideale di pura apparenza.
Gli stessi Social, specchio dell’apparire, mentre li scorriamo distrattamente ci mostrano quotidianamente esistenze “patinate” -tutte identiche e l’una la fotocopia dell’altra- di persone esclusivamente in atteggiamenti vincenti, felici, appagati e realizzati.
Apparire versus Essere
“Ci guadagneremmo di più a farci vedere come siamo,
che a cercar di apparire quel che non siamo.”
(Francois De La Rochefoucauld)
Nell’epoca in cui viviamo (e già da diversi anni) l’apparire sembra, in apparenza (perdonatemi il gioco -voluto- di parole), predominare sull’essere: ne è un esempio la moda dei tatuaggi, oggi è più facile trovare una persona tatuata che una senza nemmeno un piccolo tatuaggio.
L’essere è la caratteristica essenziale di ogni individuo, la sua autenticità, come si è davvero; l’apparire è la superficie, la formalità vuota, è volere essere o diventare ciò che non si è.
L’ essere attiene all’identità della persona, alla sua più intima natura, a ciò che si è; l’apparire è il mettersi in mostra, avere l’apparenza, sembrare ma anche mostrarsi.
Attraverso l’essere manifestiamo la nostra identità, un modo di vivere tutto nostro e personale, la nostra unicità, il nostro contenuto più profondo.
La nostra società comunica e tende ad imporre immagini-idolo, stereotipi, modelli ed icòne generati dal mondo della pubblicità, dello sport, dello spettacolo, della televisione: una realtà “preconfezionata” con regole e clichè che tendono ad inquadrarci in tipologie.
E’ importante essere se stessi, spontanei, autentici, liberi tuttavia alzi la mano chi di noi, in alcuni momenti della propria vita, non si è trovato a compiere scelte che sembravano rispondere alle nostre inclinazioni naturali, mentre in realtà risultavano essere frutto di condizionamenti e costrizioni per non deludere le aspettative degli altri o per accontentare le persone a noi vicine?
Apparire come o meglio di altri ci convince di essere meno soli o migliori e ci illude, portandoci a costruire una maschera in cui, il più delle volte, finiamo per credere veramente.
L’apparire comporta necessariamente il mostrarsi agli altri e, di conseguenza, l’essere accettati, ammessi, legittimati al bisogno d’amore.
Molti ricorrono ad un “travestimento” per la recita di un copione: indossano una maschera, obbligati a relazionarsi ottemperando a schemi ben definiti, accettati per convenienza senza trovare il coraggio di rifiutarli, anche quando contrastano con la propria natura.
Nascosto dalla maschera il nostro vero essere scalpita, ma lo freniamo per non scontrarci con i pregiudizi della società o per mera opportunità o tranquillità.
L’uomo è un animale sociale, ha un innaturato bisogno di essere accettato, amato e stimato.
L’individuo ha per natura il bisogno di confermare la propria esistenza e ciò è dato dal vedere ed essere visti; apparire significa mostrarsi agli altri e questo vuol dire avere o cercare spettatori: esibirsi, mostrarsi, essere individuati e percepiti e, dunque essere accettati.
Chi ha tutto, ma non è (in lui prevale l’apparire sull’essere), può perdere, in un solo istante, tutto ciò che ha. Al contrario, chi è (in lui prevale l’essere sull’apparire), ma non ha, può avere tutto ciò che vuole.
Il vero potere dell’essere umano è nell’essere, non nell’apparire: valgo perché sono, non perché appaio.
Marco Mengoni in una sua canzone del 2015 (Esseri umani) canta:
“Oggi la gente ti giudica per quale immagine hai, vede soltanto le maschere e non sa nemmeno chi sei. Devi mostrarti invincibile, collezionare trofei, ma quando piangi in silenzio scopri davvero chi sei…”
L’amore per noi stessi ed una maggiore consapevolezza della nostra più intima e vera essenza rappresentano il punto di partenza per consentirci di non rimanere vittime dell’apparire ma divenire artefici e paladini del nostro essere più profondo.
Il tuo Studio notarile deve puntare ad essere e non ad apparire.
Comunica l’unicità del tuo Studio notarile attraverso il Branding Notarile®
Al tuo Studio Notarile non deve interessare -e non serve- l’apparire (magari “scimmiottando un altro Studio”) o l’essere considerato il migliore ma l’unico in virtù della propria identità distintiva.
L’essere sé stessi ripaga sempre di più dell’apparire quello che in realtà non si è, conformandosi ed omologandosi a modelli di comunicazione già utilizzati da altri.
Sicuramente ha senso osservare altri professionisti e Studi notarili che possano ispirarci ma nell’ottica non di copiare bensì di coglierne i punti di forza, cercando al contempo di individuare i propri ed enfatizzando la propria unicità, il proprio stile e le proprie caratteristiche distintive.
Non devi aspirare ad essere la migliore copia di un altro ma devi impegnarti a cercare ed a comunicare l’autentica versione di te stesso.
Come afferma Seth Godin: “Quando inizi a raccontare te stesso, le cose che sei in grado di fare e come lavori, le persone ti ascolteranno. Almeno per un po’. Considera però che alla fine ti giudicheranno sulla base di quello che fai. Quando il divario tra quello che dici e quello che fai diventa ampio, la gente smette di ascoltarti seriamente. I compromessi lavorativi, i clienti che prendi, tutto quello che fai pensando che nessuno ti stia guardando, sono gli elementi sulla base dei quali vieni valutato.”
Dobbiamo sempre essere noi stessi nel racconto che narriamo di noi agli altri: dobbiamo preoccuparci di mantenere una coerenza espositiva orientata alle cose che effettivamente facciamo ed ai traguardi che raggiungiamo; fingere di essere migliori è deleterio, inutile e in alcuni casi ridicolo.
Il risultato -tuttavia- rappresenta solo un punto di arrivo temporaneo, è la cima quella verso cui dobbiamo protenderci sempre, senza risparmiare sudore e fatica: i risultati rappresentano il frutto di impegno, dedizione, sacrificio e soprattutto costanza.
Il Branding Notarile® è tanto semplice quanto efficace: sei ciò che dici nel tuo essere te stesso, con il tuo stile e la tua unicità.
Il Branding Notarile® (leggi per un approfondimento anche l’articolo “Branding Notarile®: come far emergere la tua identità (autorevole ed affidabile) o quella del tuo Studio Notarile”) non è quello che dici di te ma ciò che le persone raccontano di te: come diceva Jeff Bezos, fondatore di Amazon, “la tua reputazione è quello che gli altri dicono di te quando sei uscito dalla stanza”.
Un’attenta, corretta e strategica attività di Branding Notarile® è la capacità di riuscire a comunicare che si possiede una qualsivoglia forma di unicità in modo che la platea a cui ci rivolgiamo – con il passare dei mesi – maturi una convinzione: l’obiettivo non è quello di piacere a tutti (è inutile e non ci deve interessare) ma quello di farci amare (e ricercare) da uno specifico pubblico che apprezza la nostra unicità e le nostre peculiari caratteristiche distintive.
Talmente uniche da farci occupare uno spazio nella mente di chi ci ascolta.
Devi comunicare a chi ti ascolta che la tua unicità è caratterizzata da una grande sostanza, devi abituare coloro a cui ti rivolgi all’idea che sei una “mucca viola” (come predica Seth Godin nel suo omonimo libro): se riuscirai in ciò, nulla potrà cancellarti dalla loro testa.
Le mucche viola non si dimenticano: possono essere amate o odiate, ma non conoscono la parola “indifferenza”.
Hai dunque l’opportunità di renderti straordinario, credibile ed affidabile facendo qualcosa controcorrente: essere autentico, disponibile, competente, sincero ed etico.
Puoi farti notare, essendo una “mucca viola” in un mondo tutto marrone, piatto ed omologato.
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